I copertini di Leffe

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“Merce a meno e senza soldi, pagamento tre mesi dopo morti”. Un’offerta allettante echeggiata per decenni nelle piazze d’Italia per merito dei “Coertì da Léf”, gli ambulanti stagionali leffesi che offrivano coperte e corredi con geniale ironia. Tempi irripetibili, in bilico fra sacrificio e commedia, fra necessità e intuito imprenditoriale. C’era un collaudato meccanismo di vendita: l’arrivo in un paese nel pomeriggio, il girovagare fra le vie per “ol trèp”, la reclame, con rullio di tamburi e poi “la serada”, l’imbonimento vero e proprio, che dopo cena richiamava gli abitanti in piazza, calamitandone l’attenzione. L’arte del Copertino prese avvio alla fine dell’800, quando i primi ambulanti vendevano la “pilusa”, termine dialettale che indicava  una coperta povera, prodotto con filati ottenuti da cascami. Uno dei primi fu Giuseppe Capponi “Pistrì” che già dal 1890 si recava fino a Treviso, con un carretto spinto a mano.  A lui si fa risalire, secondo la tradizione, la nascita del mestiere, quando in Val Formazza si trovò a proporre la merce in una stalla, dove aveva trovato riparo da un temporale. La creatività dei copertini non aveva limiti. Era una recita a soggetto, con rime improvvisate e storie inverosimili. Non c’era la televisione e l’arrivo dei “bergamaschi” era un evento”. Estemporanee le battute, ma non il metodo nel suo complesso, con ruoli ben precisi. Normalmente si viaggiava almeno in coppia con l’aggiunta di un garzone, detto “il beccamorto”.

Era un vezzeggiativo che l’imbonitore usava per apostrofare il ragazzo, che aveva il compito di apparire impacciato e stupirsi sino alla disperazione per i ribassi fantasmagorici che il venditore stava applicando sulla merce. Durante la vendita si usava un linguaggio particolare per avere al volo la giusta intesa. Un vero e proprio gergo, con parole codificate ben precise. Ecco allora che il cavallo era il “balarì”, il vigile “il sintomo”, i carabinieri “i prani”.

Era grande anche la capacità di fare cartello. Nessuno veniva intralciato da altri nella propria zona di vendita e questo portò i Copertini a spingersi sino in Sicilia: a Palermo c’era un deposito in piazza Marina. Con la “pilusa” come bandiera.

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