Cruca di Gandino

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Un concentrato di storia e genuina semplicità. Ogni anno, durante la quaresima e in particolare il Venerdì Santo, i fornai di Gandino sfornano la “Cruca”, una sorta di panettone povero e basso che affonderebbe le proprie origini addirittura al Cinquecento.

“E’ una vivanda – scriveva Antonio Tiraboschi nel 1873 nel suo “Vocabolario dei dialetti bergamaschi” – fatta con farina di frumento, zucchero, uva candiotta e altre droghe, cotta nell’olio”. Ingredienti legati al giorno di magro ma anche, come conferma uno studio di Silvia Tropea Montagnosi, alle contaminazioni gastronomiche favorite nei secoli dai commercianti di pannilana. Esemplari in questo senso l’uso di cannella (segno della Mittel Europa) ed uva di Candia, che arrivava da Creta a Venezia, dove i gandinesi avevano fiorenti contatti. I gandinesi hanno un ricordo particolare delle “cruche” preparate sino agli anni ’60 da Angelo e Pietro Motta, due fratelli che gestivano forni in contrada Cerioli e sul sagrato della Basilica.

Dalla serata del Giovedì Santo, al termine della messa ”in coena domini” si ripete ogni anno anche il rito delle campane legate, che vengono sostituite da un’altra tradizione tutta gandinese: quella degli “urlatori”. Per due giorni una coppia di volontari  utilizzano l’uno la propria voce possente e l’altro il suono della “tola” (una tavoletta in legno con battenti in ferro opportunamente scossa) per diffondere, in tutta la valle, il richiamo alle funzioni. Dall’alto dei 73 metri del campanile della Basilica, la loro opera ricorda lo stile dei muezzin visti dai gandinesi sui minareti d’Oriente.

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