La comunità di Gandino tramanda particolari tradizioni in coincienza con i riti della Settima Santa precedente la Pasqua. Legata al cibo è la“Cruca” preparata in Quaresima (in particolare il Venerdì Santo) dai panifici di Gandino. “E’ una vivanda – scriveva Antonio Tiraboschi nel 1873 nel suo “Vocabolario dei dialetti bergamaschi” – fatta con farina di frumento, zucchero, uva candiotta e altre droghe, cotta nell’olio”. Ingredienti legati (come conferma uno studio di Silvia Tropea Montagnosi) alle contaminazioni gastronomiche favorite nei secoli dai commercianti di pannilana. Esemplari l’uso della cannella (segno della Mittel Europa) ed dell’uva di Candia, che arrivava da Creta a Venezia, dove i gandinesi avevano fiorenti contatti.
Dalla serata del Giovedì Santo, al termine della messa ”in cena domini”, a Gandino come altrove si ripete il rito delle campane legate e mute, sino alla Veglia del Sabato Santo, quando “si trova Pasqua”. Il suono dei bronzi è sostituito per due giorni da due volontari, che utilizzano l’uno (l’urlatore) la propria voce possente e l’altro (il battitore) il suono della “tola” (una tavoletta in legno con battenti in ferro opportunamente scossa) per diffondere, in tutta la valle, il richiamo alle funzioni. La tola viene scossa con forza a cadenza di passo, soffermandosi ad ogni angolo del campanile. L’ultimo giro di annuncio, detto “butì”, viene fatto suonando a raganella, cioè con ritmo continuato. La voce grida “Ave Maria” oppure “Pater”, “Funziù” e “Via Crucis” per preannunciare i momenti del giorno o le celebrazioni. Dall’alto dei 73 metri del campanile della Basilica, la loro opera ricorda lo stile dei muezzin visti dai gandinesi sui minareti d’Oriente. Nelle tradizioni c’è un piccolo grande mondo.